Splendida passeggiata a Genazzano caratteristico borgo Medievale e dello spettacolare Ninfeo Bramante con i nostri amici Daniel e Priscilla
Veduta di Genazzano dal Nifeo
Il
cosiddetto “Ninfeo” di Genazzano fu edificato nei primi decenni del Cinquecento
ad opera di maestranze bramantesche.
L’impronta stilistica del Bramante appare chiarissima.
L’edificio si articola in un loggiato a tre campate che immette in un ambiente
absidato retrostante e, a sinistra, in un piccola stanza ottagona con vasca
circolare al centro; ai lati del loggiato l’edificio si prolunga in due stanze
quadrate con piccoli ambienti retrostanti.
Le
arcate della facciata poggiano su massicci pilastri con un ordine gigante di
semicolonne sul fronte e inquadrano prospetticamente le retrostanti tre
serliane che a loro volta si aprono sugli spazi dell’ambiente absidato interno.
Gli involucri murari sono scanditi da cinque ordini architettonici di diverse
dimensioni, coordinati tra loro: semicolonne giganti della facciata, paraste
che sorreggono gli archi d’imposta delle volte, colonne e paraste delle
serliane, lesene maggiori e minori delle esedre. La loggia funge da vestibolo;
dietro si aprono i tre ambienti corrispondenti posti in posizione sopraelevata,
formanti il vero e proprio ninfeo.
Ai piedi della loggia una scalinata, ora interrata, scendeva verso il piano
della valletta, dove scorre il ruscello chiamato “Fossato”. Una diga costruita
più a sud permetteva di chiudere il deflusso del Fossato e di allagare la
valletta, creando un lago artificiale ai piedi del Ninfeo, testimoniato da un
atto notarile. Due muretti a forma di esedra si prolungavano a partire dai
fianchi laterali del Ninfeo e racchiudevano lo specchio d’acqua ai piedi
dell’edificio; di quello a nord resta un tratto alto circa 80 cm., prima dritto
e poi curvante.
L’accesso
dalla via pubblica all’edificio corrispondeva all’attuale ingresso a gradoni.
Lì, infatti, era il toponimo “la Porta del Giardino”. Perché i Colonna, signori
feudali di Genazzano, decisero di costruire il Ninfeo in quest’area ? Le
ragioni possono essere molteplici e concorrenti:
- qui, nella valle e contrada di Soglia, erano i terreni, di loro diretta
proprietà, più vicini al centro abitato;
- l’edificio costituiva un luogo di sosta lungo la via che da Genazzano
conduceva a Paliano, dove i Colonna avevano la loro riserva di caccia (“la
Selva”), svago preferito all’epoca da queste famiglie di nobiltà guerriera;
- un casino in una valletta ombrosa, affacciato su un corso d’acqua o un
laghetto, costituisce un tipico vagheggiamento della cultura umanistica del
Rinascimento; ripreso dalle descrizioni delle ville di Plinio il Giovane,
compare in progetti architettonici, in testi letterari e, nel 1499, in una
celebre immagine dell’Hypnerotomachia Poliphili.
I
tratti stilistici inducono gran parte degli studiosi ad attribuirne il progetto
al Bramante e la realizzazione a maestranze lombarde e bramantesche:
- l’elemento della serliana fu proposto da Bramante a Roma nella finestra della
Sala Regia (1505-07) e nel coro di S. Maria del Popolo (1505-09); l’elemento
dell’arco concentrico con oculi fu realizzato da Bramante già a Milano in S.
Maria delle Grazie (1492) e poi progettato a Roma per il coro di San Pietro
intorno al 1505;
- alcuni artifici, escogitati dall’architetto per ovviare agli effetti ottici
del punto di osservazione frontale e dal basso (tipo e andamento della
trabeazione, rialzamento del podio delle colonne delle serliane), fanno
apparire illusionisticamente le serliane su un piano allontanato in profondità
più di quanto non lo siano nella realtà. Il punto di vista prospetticamente
privilegiato della teatrale facciata (“frons scenae”) è chiaramente collocabile
al centro del fondo della valletta antistante o, forse ancor meglio, sulla
strada che, dopo aver traversato il Ponticello, saliva al Colle Pizzuto.
L’edificio costituisce un tipico esempio bramantesco di illusionismo pittorico
spaziale in architettura.
- il
corpo centrale, costituito dal loggiato e dall’ambiente absidato retrostante,
appare progettato secondo una regola geometrica esatta: la misura
dell’intercolumnio delle campate della loggia determina un modulo che si
riproduce proporzionalmente in tutta la struttura. L’unità rigorosa del modulo
è riscontrabile nell’esedra a sud, quasi completamente conservata: un’unità
base è rappresentata dalle piccole nicchie per le statue che si aprono nelle
piccole esedre d’angolo; tale unità base è ripresa e ampliata nelle grandi
esedre. Il rapporto proporzionale esistente tra l’ordine delle piccole esedre e
le nicchie è riproposto in scala maggiore nel rapporto tra le lesene tuscaniche
giganti delle grandi esedre e le piccole esedre. Analoghe relazioni
dimensionali si riscontrano tra le conchiglie delle nicchie delle statue e le
conchiglie delle esedre minori. La connessione delle unità spaziali e
dimensionali in ordine gerarchico e la loro articolazione in un continuum
sembrano ispirate alla complessità volumetrica dell’architettura tardoimperiale
che all’epoca del Bramante era ammirata in numerose vestigia dei monumenti
antichi e nei disegni della chiesa di S. Sofia a Costantinopoli.
Lo schema dell’edificio mostra in trasparenza la suggestione della monumentale
facciata dei resti della basilica di Massenzio. La tipologia, invece, si ispira
agli ambienti termali antichi, quali le Terme di Diocleziano. In particolare,
l’aula ottagona, contigua all’abside nord della loggia-vestibolo, vuole essere
la riproposizione rinascimentale del frigidarium delle terme romane. Presenta
grandi nicchie diagonalmente disposte; sulle pareti scendono nove canne di
terracotta per getti d’acqua; al centro è una vasca circolare. L’alimentazione
doveva essere garantita da una sorgente vicina, identificata a seguito di
indagine idrogeologica nel 1999; la vasca era direttamente riempita da acqua di
faglia presente nel terreno argilloso. La copertura doveva essere a cupola
aperta in alto con un oculo avente funzione di illuminazione e di impluvium.
Sedili all’interno delle nicchie consentivano di riposare godendo del fresco
ombroso e dei getti d’acqua, restando all’asciutto. E’ da escludere l’uso
pratico come bagno termale (calidarium), poiché mancano impianti per riscaldare
l’acqua e bacini di raccolta.
La
fabbrica ebbe almeno due fasi: nella seconda fase furono aggiunti i corpi
laterali, caratterizzati dalle finestre bugnate in travertino. Nel corpo
laterale a sud è riconoscibile un forno. L’aggiunta del corpo laterale sul
fianco sud comportò l’apertura di un portale architravato che immetteva nel
loggiato; fu così in parte distrutta e modificata l’abside sud del loggiato.
In tutto il complesso si riscontrano tracce dell’intonaco che doveva coprire i
campi murari tra gli ordini architettonici (i pilastri, le cornici, le
conchiglie delle nicchie e le membrature in tufo e in travertino); gli elementi
costitutivi dell’ordine, quindi, staccavano cromaticamente sull’intonaco.
L’edificio non fu mai portato a compimento: lo dimostrano le buche pontali mai
chiuse e l’assenza di fuliggine nella canna fumaria del forno.
La fabbrica potrebbe essersi interrotta per danni sopravvenuti, già in fase di
edificazione, a causa del suolo argilloso e dell’azione erosiva del corso
d’acqua (il “Fossato”) che lo lambiva. Non a caso Antonio Muñoz,
nell’intervento di restauro del 1916-18, deviò il Fossato allontanandone il
corso dall’edificio. Ai problemi strutturali di base si aggiunsero certamente
gli effetti del terremoto del 1703, probabile causa del cedimento del pilastro
a nord e della caduta delle volte. I documenti riferiscono che il pavimento
restò ingombro di gran quantità di cementi crollati.